In linea di principio sono contraria alle quote rosa: le trovo offensive. Secondo me implicano che le donne non sono abbastanza in gamba per farsi strada da sole, quindi bisogna creare per loro delle corsie preferenziali. Il politically correct è bello e buono, ma quando si esagera finisce per generare uno sgradevole effetto boomerang.
E' lo stesso principio per cui mi dà fastidio sentir parlare di "diritti delle donne", "diritti dei gay", "diritti dei bambini"; tutte categorie "diverse" e subordinate e a cui qualcun altro, magnanimamente, decide se e quali diritti riconoscere. Non è un caso che non si sente mai parlare di "diritti degli uomini".
E se cominciassimo a discutere di "diritti umani"? Poi però è chiaro che, se così facessimo, balzerebbe all'occhio la necessità di garantire a tutti il diritto di sposare chi ci pare, o di decidere cosa fare del proprio corpo (per dire, sull'aborto si continua a discutere all'infinito ma non mi risulta che nessuno si sia mai sognato di vietare una vasectomia. Eppure, se scopo del matrimonio è la procreazione, la Chiesa dovrebbe proibire la vasectomia, no?).
Disgraziatamente questo mondo è ben lungi dall'essere perfetto, quindi rende necessarie le quote rosa esattamente come ha reso necessarie, in USA, le corsie preferenziali per le persone di colore. L'ovvio rischio di questo sistema è che a farsi largo siano delle emerite imbecilli, per il solo fatto di essere donne.
Che ci siano delle disparità di trattamento, anche notevoli, e profondamente incistate nella mentalità popolare, è un fatto. Lo provano tanti piccoli particolari. Ad esempio, oggi ho ricevuto una mail che mi apostrofa come "signora" ma cita un altro interlocutore, uomo, come "dottore" (in effetti lo cita come Dr. anziché Dott. e non nego che da talebana della grammatica già questo mi indispone non poco). Mia cugina, medico specializzando, gira in ospedale ovviamente con il camice e una targhetta di riconoscimento che la qualifica, ma si sente sempre chiamare "signorina" e scambiare per un'infermiera.
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