Il più delle volte magari non sembra (da quanto tempo non mi faccio le unghie? Non ci pensiamo), ma sono una donna.
Pertanto, amo avere ragione.
(Pertanto, ho sempre ragione.)
Negli ultimi giorni mi sono imbattuta in vari post e messaggi e aggiornamenti di stato su Facebook che lamentavano l'invasività dei social network nella nostra vita. Opinione alla quale mi ribello, perché - cari i miei criticoni - se gli aggiornamenti di stato bimbominkia vi danno tanto fastidio, prima di fare i saccentelli e i culturalmente superiori potreste 1 - chiedervi come mai vi ritrovate degli amici bimbominkia e 2 - cancellare il vostro account Facebook.
(Per inciso: lamentarsi dei social network scrivendo una nota su Facebook mi sembra abbastanza schizofrenico. Et de hoc satis.)
("L'invasività dei social network". Dio, come scrivo bene.)
Peraltro, dato che i social network esistono e un sacco di gente li usa, fare i puristi e ritirarsi in romitaggio reminiscendo i bei tempi in cui il calamo scorreva sulla pergamena mi pare quanto meno controproducente.
(E comunque, sono un dio della scrittura raffinata. Sulla comprensibilità della stessa, discetterò un'altra volta.)
Ora, si dà il caso che tra i miei amici in Facebook io annoveri tre o quattro archeologi militanti (beati loro), i quali utilizzano il social network per passarsi informazioni su dati di scavo, bibliografie aggiornate, attribuzione/datazione di reperti, etc. In pratica hanno costituito una comunità scientifica on line con i controfiocchi.
A dimostrazione del fatto che un mezzo di comunicazione non è buono o cattivo in sé, ma vale quanto quelli che lo adoperano.
Tanto per cambiare, avevo ragione io.
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