martedì 26 gennaio 2010

E ora chiamatemi "bambocciona"

Di recente sono stata contattata dall'ISTAT, che sta conducendo un'indagine sui dottori di ricerca e sul loro inserimento nel mondo del lavoro.
So che anche quelli dell'ISTAT devono lavorare, ma ho educatamente rifiutato di rispondere alle loro domande. Anche perchè, se avessi risposto, mi sarebbe stato difficile continuare ad essere educata.

Il dottorato è stata una delle cose più inutili che io abbia mai fatto. L'unica cosa buona che me ne è venuta, a parte una lautissima borsa di studio di 500.000 lire al mese, è di essermi trasferita a Pompei per due anni, a lavorare come archeologa. O meglio, a fare l'archeologa volontaria, gratis e per la gloria (per mantenermi arrotondavo con altri lavoretti la cospicua borsa di studio di cui sopra).

Dopo di che, passati i 3 anni di dottorato, senza troppa convinzione ho provato qualche concorso per ricercatore universitario; concorsi banditi per UN posto, e tanto valeva inserire nel bando anche il nome e cognome di chi poi l'avrebbe vinto.
Ho provato anche, con ancor meno convinzione, un elefantiaco concorso di abilitazione all'insegnamento, e nel frattempo - per non farmi mancare niente - mi sono specializzata in archeologia romana (questo mi avrebbe permesso, in teoria, di partecipare al concorso in Soprintendenza, le cui materie d'esame, oltre a elementi di diritto delle P.A., sono - tra le altre - archeologia del Vicino oriente e archeologia precolombiana; del resto si sa che i Maya venivano spesso in vacanza in Messapia. Ci ho rinunciato.)

Se sono a fare il mio lavoro (beh, ora sono a scrivere questo post, ma non sottilizziamo...) è perchè, a furia di partecipare a corsi di formazione, corsi di aggiornamento e master più o meno assortiti, sono finita in Casa editrice per uno stage, e di qui non mi sono più mossa. Fortuna. Il dottorato non c'entrava nulla, mi ha solo fatto allungare di una riga il mio curriculum.

E se ho potuto partecipare a corsi, master e stage è perchè sono rimasta a vivere dai miei, e mantenuta più o meno dai miei, fino alla tenera età di 29 anni.
E ora l'ISTAT può classificarmi sotto la voce "bambocciona".

4 commenti:

  1. allora buona giornata, bambocciona ;)

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  2. Grazie, altrettando (la buona giornata, non la bambocciona!)

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  3. Non sei "bambocciona", e la tua situazione in Italia è fin troppo comune... Anzi, hai avuto anche molto coraggio a fare ciò che hai fatto.
    Purtroppo lo Stato non ci mette in condizione di trovare subito lavoro dopo gli studi, costringendoci a perderci in una marea di finti concorsi, corsi di specializzazione, Master, dottorati, ecc, ecc... per non parlare poi del corso di laurea stesso!

    Alla fine non finiamo mai di studiare, siamo preparatissimi a livello teorico, ma è logico che quando finalmente usciamo dall'Università una delle poche cose pratiche che sappiamo fare è quella di mandare curriculum fino ai 30 anni!

    Italia, Italia... paese antimeritocratico e burocratico!

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  4. Non tanto coraggio, quanto scelta obbligata. Per quanto l'archeologia mi piacesse (e mi piaceva, mi piaceva da matti stare sugli scavi...), a un certo punto devi arrenderti a cercare un lavoro che ti dia da mangiare.
    E a me è andata di lusso, perchè ho trovato un lavoro che mi piace quasi quanto l'archeologia, per di più nella mia città natale. Ho due sorelle, entrambe "cervelli in fuga". E non perchè sono le mie sorelle, ma ti assicuro che l'Italia dalla loro fuga ci ha rimesso assai.

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