Sono fermamente convinta del fatto che il voto è un diritto e un dovere, e quindi mi faccio un punto d'onore di andare sempre a votare. Sempre. Da che ho raggiunto l'età di legge, non ho saltato una volta.
Peccato che abbia sempre dovuto votare contro, non per; scegliere il male minore, invece di un candidato o di un partito che mi convincessero davvero.
(A ben pensarci, in effetti, nel 1996 ero piuttosto convinta dell'Ulivo; non abbastanza, però, per decidere di tesserarmi. Sotto sotto, sentivo che qualcosa non quadrava.)
(Era Veltroni.)
Sono andata a votare al referendum delle 13 schede, a quello per la procreazione assistita (ovviamente), ho trascinato a votare mia nonna che non usciva di casa da secoli ("Sì nonna, devi fare la croce dove c'è l'alberello, vedi? Sì, nonna, Berlusconi è brutto e Rutelli invece è tanto un bell'uomo, ma siamo nel seggio elettorale, queste cose non si possono dire..."); beh, non credo di essermi mai sentita tanto inutile e sfiduciata come ieri.
Sono entrata in cabina (dopo simpatici siparietti: "Prego, signora, si accomodi al n. 4." "Ehm... Non dovreste chiedermi documento e tessera elettorale, prima?"), ho aperto la scheda e ho pensato: vabbeh, ma che senso ha tutto questo?
E va detto che sono le comunali e io conosco benissimo la persona per cui ho votato. E' un amico. Siamo andati fuori a cena io, l'amore mio, lui e la sua ragazza un sacco di volte.
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