Torno adesso dal cinema dove ho visto la terza parte de "Lo Hobbit", e dire che mi ha fatto pena è dire poco. Siccome voglio sentirmi libera di dissezionarlo e demolirlo in dettaglio, e per evitare spoiler ai poveri malcapitati che ancora dovessero vederlo (ma datemi retta, risparmiatevi soldi e fatica), nascondo il resto di questo lungo post catartico qui sotto.
Comincio dalle cose che mi sono piaciute, tanto è facile, sono solo tre: la caduta di Smaug morente su Esgaroth, l'inizio della battaglia con gli Elfi che spuntano da dietro la testuggine nanica, e Bilbo che torna a casa e trova il suo fazzoletto. Le prime due cose sono tutta CGI, la terza è una citazione tolkieniana che chi non ha letto il libro difficilmente può cogliere (non sono nemmeno sicura fosse menzionata nel primo episodio), e questo già la dice lunga sul resto del film.
Che è - e credetemi, mi dispiace davvero dirlo visto che sono una grande estimatrice della trilogia del "Signore degli Anelli" - tragicamente brutto.
Il peccato originale è evidente: il libro originario - uno solo, compatto, coerente e consequenziale - è stato allungato e dilungato in ben tre film che, di conseguenza, sono stati riempiti di cliché, personaggi spurii e peggio ancora totalmente inutili, scene noiose se non addirittura ridicole, e americanate varie. La cosa è evidentissima in questo terza parte in cui, rispetto al libro, sono rimaste da raccontare solo due cose: l'attacco di Smaug a Esgaroth e la Battaglia delle Cinque Armate. Eventi cataclismatici, non c'è dubbio, ma che da soli non possono riempire due ore e mezzo di pellicola.
Per rimpolpare la cosa, Jackson e i suoi sceneggiatori (sono passati 10 anni e si sentono tutti, ahimé) hanno pensato bene di mettere in mezzo la lotta del Bianco Consiglio con il Negromante. Ossia un episodio conosciuto solo dai fan hard-core di Tolkien, che avevano esultato nel saperlo incluso nel film (ci si potevano aspettare, ad esempio, sottili indizi sul futuro cambiamento di fronte di Saruman: macché, speranza vana) ma che viene raccontato talmente male da essere in pratica irriconoscibile, e incomprensibile da chi non ha letto i libri.
E questa è una sola delle tante occasioni perse. La seconda è Legolas. Io adoro Legolas, lo dico e lo ripeto fino ad annoiare anche me stessa, ho desiderato con tutte le mie forze che lo includessero anche nello Hobbit ma se avessi saputo che lo avrebbero ridotto così me ne sarei ben guardata. Un principe elfico, che il padre evidentemente stima al punto da inviarlo come ambasciatore e rappresentante al Concilio di Elrond, è ridotto a un ragazzino capriccioso perso dietro una smorfiosa che manco lo pensa; va avanti e indietro uccidendo orchi random (quando sarebbe stato tanto semplice, e molto più utile, schierarlo tra i generali della battaglia, magari anche qui prefigurando il futuro e la sua amicizia con Gimli figlio di Gloin) e alla fine viene spedito da Thranduil a cercare un tal Granpasso, "ma il suo vero nome dovrai scoprirlo tu". Ma cosa, come, ma perché? Perché un re elfico dovrebbe usare il nome in lingua comune di Aragorn, e non a quel punto il suo nome elfico, Estel? Perché Legolas dovrebbe essere "esiliato"? Perché tirarlo in ballo solo per fargli fare una figura barbina? La scena in cui "scala" un muro che sta crollando è, francamente, ridicola.
A proposito di cose ridicole: avevo deciso di non far menzione di Tauriel (l'unico personaggio più inutile di lei è il tirapiedi del Governatore di Esgaroth - che si chiama Alfred: ma fate sul serio, o che? - e dovrebbe, immagino, recitare la parte del Vermilinguo di turno, ma non ci si avvicina manco di striscio), ma devo almeno dire che la storia d'amore con Kili è quanto di più implausibile possa esistere. Non solo spunta come un fungo dal nulla - avevano tre film per svilupparla e non ci sono riusciti: complimenti - ma grida vendetta: l'amicizia tra Legolas e Gimli fa storia perché mai prima d'allora c'era stato qualcosa del genere fra Elfi e Nani, figuriamoci se è possibile immaginare un Elfo e un Nano che si innamorano! Questa mania americana di schiaffare un triangolo amoroso ovunque ha davvero stancato.
Martin Freeman, che pure è bravo, compare sullo schermo per non più di una decina di minuti (e non perché nel resto del tempo abbia indosso l'Anello): non male, considerando che il suo personaggio sarebbe il protagonista. In compenso Bard è ovunque, peggio del prezzemolo, sempre con questa espressione beota da sono-un-padre-amorevole-costretto-a-comandare (non per niente lo chiamano Pa', come in "La casa nella prateria"), e si macchia di alcune fra le scene più forzate e inutili che abbia mai visto in vita mia. E infine la Battaglia, che dovrebbe costituire il climax dell'intera trilogia e nel libro è assolutamente epica, al livello di quella al Fosso di Helm, viene spezzata in tre-quattro location diverse, procede a singhiozzo e finisce nella prevedibilità generale (che l'orco finito sotto ghiaccio non fosse in realtà morto ma tendesse l'agguatone a Thorin l'avevamo capito tutti, tranne quell'allocco di Thorin).
Il tutto raccontato con una regia piattissima, che non sembra conoscere altro a parte primissimi piani degli attori (peraltro assolutamente inespressivi) e larghissime panoramiche dei paesaggi. Che c'erano anche in LOTR, ma lì servivano a raccontare l'immensità del viaggio, la piccolezza dei buoni contro la grandezza del Male, la forza d'animo di chi va avanti anche se non sa bene dove andare: erano insomma sequenze emotive. Qua paiono tratte da uno spot della Nuova Zelanda.
Il tutto raccontato con una regia piattissima, che non sembra conoscere altro a parte primissimi piani degli attori (peraltro assolutamente inespressivi) e larghissime panoramiche dei paesaggi. Che c'erano anche in LOTR, ma lì servivano a raccontare l'immensità del viaggio, la piccolezza dei buoni contro la grandezza del Male, la forza d'animo di chi va avanti anche se non sa bene dove andare: erano insomma sequenze emotive. Qua paiono tratte da uno spot della Nuova Zelanda.
Il corvo che viene e va dalla Montagna, l'orso che compare all'improvviso (sarebbe Beorn, che però nel libro non viene portato in volo da un'aquila: che altra sciocchezza è questa?), Lobelia e i cucchiaini sono tutte citazioni tolkieniane buttate lì con una trascuratezza francamente insultante per i fan. Non giova che, alla fine, Ian Holm riprenda i panni di Bilbo, richiamando l'inizio de "La Compagnia dell'Anello". Il ricordo di quello che fu, e il paragone diretto con quella che sarà sempre LA trilogia, è imbarazzante.
Ora so come si sentono i fan di Star Wars.
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