domenica 24 luglio 2011

Tragedie

La morte di Amy Winehouse mi ha choccato, e per ore ieri sera non ho parlato d'altro. Un amico mi ha gentilmente rimproverato, facendomi notare che la notizia realmente choccante era quella della strage in Norvegia.
E riconosco che da una parte ci sono centinaia di morti, dall'altra uno solo. Da una parte ci sono centinaia di morti innocenti, che si stavano facendo i fatti loro e sono rimasti vittime di un folle. Dall'altra c'è - c'era - una ragazza dai comportamenti autodistruttivi, che ha più volte rifiutato di curarsi e che - volendo semplificare al massimo, nel più crudo e cinico dei modi - se l'è cercata.

Tutto questo io lo riconosco. Però confesso che la morte di Amy Winehouse mi ha colpito più della strage in Norvegia. E non c'entra il fattore VIP (se non forse per il fatto che è più facile mostrare empatia verso qualcuno che puoi identificare con nome e cognome, piuttosto che verso un gruppo indistinto di persone - erano persone, avevano vite e famiglie e storie ma quando diventano decine e centinaia e numeri generici è più facile, ahimè, perderli di vista).

Il fatto è che quando penso a ragazzi (Amy Winehouse aveva solo 27 anni, santo cielo) giovani, dotati di talento, che hanno la fortuna di vederselo riconosciuto questo talento e riescono a fare carriera e a diventare famosi, e hanno praticamente tutte le possibilità aperte davanti a sè, e le buttano via, letteralmente, perché non riescono a gestirle e a gestirsi, ed evidentemente non hanno nessuno accanto che sia in grado di aiutarli, o che voglia aiutarli perché pensa solo a sfruttarli...
Tutto questo mi mette una gran tristezza addosso.

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